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Chirurgia (Comunicati stampa - 2012-11-21 16:41:20)

Trapianti, l’allarme dei pazienti, i rischi dai farmaci generici nelle terapie salvavita

Medici trapiantologi e associazioni pazienti richiamano l’attenzione sul rischio che l’uso non controllato dei farmaci generici nella terapia immunosoppressiva, soprattutto nel passaggio da equivalente a un altro equivalente, possa mettere in pericolo il trapianto, comportando rigetto cronico e perdita d’organo.

I pazienti temono che nel prossimo futuro la continuità terapeutica possa venir meno: ragioni di contenimento della spesa farmaceutica potrebbero imporre un frequente cambio di terapia tra immunosoppressori, sconsigliato dall’AIFA e dalle Società Scientifiche,
creando inoltre differenze territoriali nella tutela della salute e della sicurezza dei pazienti.

Roma, 20 novembre – L’allarme arriva dai pazienti trapiantati italiani e dai medici della rete trapiantologica: il passaggio non controllato dai farmaci originali ai farmaci generici per la terapia immunosoppressiva post-trapianto mette a rischio la salute di pazienti “fragili” come i pazienti trapiantati, che possono andare incontro a rigetto e alla perdita d’organo.
E in futuro, l’eventuale scelta di alcune Regioni di rimborsare solo il costo del farmaco generico potrebbe determinare pericolose rincorse al farmaco con il prezzo più basso, come anche inaccettabili differenze territoriali nella tutela della salute, obbligando di fatto i medici di quelle regioni a esporre i propri pazienti a tutti i rischi connessi al cambio di terapia.

“Alcuni immunosoppressori, come tacrolimus, rientrano nella categoria dei farmaci a basso indice terapeutico: anche lievi modificazioni della concentrazione plasmatica di questi farmaci possono comportare gravi conseguenze in termini di tossicità o perdita di efficacia”, afferma Pasquale Berloco, Presidente della Società Italiana Trapianti d’Organo.

“In questo particolare ambito terapeutico, la sostituzione di un farmaco originale con un generico, o quella di un generico con un altro generico, deve essere prescritta da un medico esperto del trapianto e valutata nel suo rapporto rischio/beneficio poiché ogni sostituzione deve essere seguita da controlli dei livelli plasmatici del farmaco e sostituzioni ripetute e consecutive devono assolutamente essere evitate”.

L’impatto delle possibili ricadute di un uso non controllato dei farmaci generici nella terapia immunosoppressiva dei trapianti è stato valutato nel corso del Forum istituzionale “Trapianti e terapie: i diritti insostituibili dei pazienti” promosso dalla SITO, la Società Italiana Trapianti d’Organo, che ha coinvolto alcuni dei più importanti trapiantologi italiani insieme a rappresentanti dei pazienti, delle Istituzioni e delle Regioni.

In Italia sono circa 3.000 ogni anno le persone sottoposte a trapianto d’organo, con risultati paragonabili a quelli dei principali Paesi europei, grazie all’elevata efficienza dei Centri trapianto.

“Le percentuali di successo sono ormai elevatissime, con una sopravvivenza d’organo a un anno che è del 91.9% per il rene, dell’83,5% per il cuore e dell’81,6% per il fegato”, afferma Alessandro Nanni Costa, Direttore Centro Nazionale Trapianti. “Sono ottimi anche i dati relativi al reinserimento dei pazienti trapiantati nella vita sociale: i pazienti italiani sottoposti a trapianto che lavorano o sono nelle condizioni di farlo, sono il 90,3% per il trapianto di cuore, 78,2% per il trapianto di fegato e 89,8% per il trapianto di rene”.

Per i pazienti trapiantati i farmaci immunosoppressori hanno un ruolo salvavita. Da oltre un anno nei prontuari terapeutici sono stati introdotti i farmaci immunosoppressori equivalenti, la cui efficacia e sicurezza sono in generale garantite da normative che ne disciplinano l’immissione in commercio. Ma in alcune situazioni particolari l’uso dei generici comporta dei rischi.

“La sostituzione di alcuni farmaci immunosoppressori con un equivalente presenta rischi oggettivi e specifici nella terapia post-trapianto” afferma, a nome dei pazienti, Anna Maria Bernasconi, presidente Associazione Nazionale Emodializzati - Dialisi e Trapianto (ANED). “Per questi farmaci, le differenze tra dosi efficaci e quelle associate a tossicità sono minime e il passaggio non controllato da un farmaco originatore all’equivalente può fare la differenza per la sopravvivenza dell’organo: rischiare di perdere un trapianto ha ricadute umane, sociali e di spesa sanitaria ben più gravi di un relativamente modesto risparmio nella terapia farmacologica”.

Di fronte ai dubbi dei medici e alle preoccupazioni dei pazienti, l’AIFA ha emanato alcuni documenti esplicativi volti a ridurre il rischio di errori terapeutici nel corso del trattamento con formulazioni orali di tacrolimus: in particolare, viene sconsigliata l’intercambiabilità dopo l’inizio della terapia e si raccomanda che qualsiasi passaggio a un farmaco equivalente avvenga sotto indicazione e stretto controllo del medico. Anche la SITO ha messo a punto un position paper, indicando i principi di sicurezza sull’uso degli equivalenti, che coincidono con le raccomandazioni AIFA

“I buoni risultati che negli anni i trapiantologi italiani hanno ottenuto derivano anche dal rigore e dall’attenzione poste alla somministrazione della terapia immunosoppressiva, cioè agli sforzi fatti per ottenere la maggiore efficacia terapeutica con il minimo degli effetti collaterali”, afferma Silvio Sandrini, Responsabile Centro Trapianti Rene, Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia. “Il vero problema nasce dalla possibilità che, inavvertitamente, un paziente passi da un farmaco originatore ad un equivalente, e viceversa, o da un equivalente ad un altro equivalente. Questa variazione, sebbene sconsigliata da tutta la comunità scientifica, compresa l’AIFA e l’EMEA, è un rischio che diventerà possibile in futuro, quando più farmaci equivalenti risulteranno disponibili”.

La conseguenza più temuta dai trapiantologi è che, quando più farmaci equivalenti risulteranno disponibili, il prezzo del farmaco possa diventare l’unico criterio per la scelta del farmaco stesso e che i pazienti siano esposti al passaggio indiscriminato da un farmaco a un altro ogni volta che si rende disponibile un farmaco con il prezzo più basso.

“L’interscambio di formulazioni diverse esporrà il paziente al rischio di tossicità cronica o di rigetto cronico, eventi clinici i cui effetti possono non essere immediati ma evidenti solo nel lungo termine”, afferma Massimo Baraldo, Professore Associato di Farmacologia, Università degli Studi di Udine. “Il problema più importante è che il paziente potrebbe andare incontro a frequenti cambiamenti del farmaco generico, a quel punto il clinico rischia di non avere un punto di riferimento, quel che accade nel paziente non dipende dalla terapia ma dai continui cambiamenti”.

Il tutto alla luce di risparmi assai limitati, specie se paragonati alla spesa complessiva sostenuta dal SSN per ogni singolo trapianto e ai rischi di perdita d’organo associati al cambio di terapia: il trapianto è un intervento complesso che comporta numerosi costi legati all’individuazione del ricevente, la gestione del pre-trapianto, il follow up del post trapianto e al monitoraggio annuale che dura per tutta la vita del paziente.

Un grande investimento sostenuto dalla sanità pubblica in vista dei benefici anche economici che comporta: il trapianto di rene funzionante permette, rispetto alla dialisi, un risparmio annuo di circa 25.000 euro per paziente.

“Il trapianto d’organo è un evento importante e nell’insieme costoso, tuttavia la spesa per i farmaci incide per non più del 20-30% del totale, una cifra rilevante certo ma che non impatta quanto quella dell’ospedalizzazione” afferma il farmacoeconomista Giorgio L. Colombo, docente della Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Pavia. “Non possiamo, nell’attuale contesto economico, prescindere dall’utilizzare i farmaci equivalenti; questo però deve avvenire attraverso la piena consapevolezza da parte di tutti gli attori del sistema sanitario delle potenzialità del farmaco equivalente e tramite validati strumenti di monitoraggio e controllo da parte dell’autorità pubblica”.

Terapia con i farmaci immunosoppressori
I FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA DEL POST TRAPIANTO SONO CARATTERIZZATI DA UNO STRETTO INDICE TERAPEUTICO: CHE COSA VUOL DIRE ESATTAMENTE? COSA COMPORTA QUESTA PECULIARITÀ DAL PUNTO DI VISTA DELL’EQUIVALENZA TRA UN FARMACO ORIGINATORE E IL SUO GENERICO?
L’efficacia clinica di un farmaco immunosoppressore si ottiene quando viene raggiunta una certa concentrazione dello stesso nel sangue. Sono stati fissati target precisi di concentrazione ematica al di sopra dei quali aumenta il rischio di tossicità, e al di sotto, il rischio di rigetto.
Purtroppo, il “range” entro cui mantenere i livelli ematici dei farmaci immunosoppressori è solitamente molto stretto e questo rende ragione delle difficoltà incontrate nella gestione della terapia immunosoppressiva dopo trapianto.
Naturalmente la giusta concentrazione ematica dipende da molti fattori, per esempio dalle modalità di assorbimento del farmaco, dal suo metabolismo, dalle interazioni con altri farmaci, etc.
Alla luce di tutto questo, poter utilizzare sempre e solo il farmaco originatore (brand) facilita il compito in quanto permette di evitare variazioni importanti sia della farmacocinetica che della farmacodinamica.
L’avvento dei farmaci immunosoppressori equivalenti ha portato una nuova variabile nella gestione clinica della terapia immunosoppressiva, legata alla diversa farmacocinetica e farmacodinamica del nuovo farmaco, che seppure equivalente a quella del farmaco originatore, non risulta quasi mai uguale.
Va comunque sottolineato che esistono criteri molto rigidi per stabilire la bioequivalenza di un farmaco con il proprio originatore, criteri stabiliti dalle Autorità Regolatorie sia statunitensi che europee. Senza entrare nei dettagli tecnici, ricordo che vengono considerati bioequivalenti due prodotti che contengano lo stesso principio attivo, la stessa dose molare e la cui entità di assorbimento sia talmente simile da assicurare in vivo una prestazione paragonabile.
Se da un lato queste garanzie permettono di utilizzare il farmaco equivalente al posto del farmaco originatore, non permettono di effettuare interscambi tra farmaci equivalenti ed originatore senza correre il rischio di uscire da quello stretto “range” terapeutico di cui si è parlato all’inizio.

NELLA GESTIONE DELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA, QUALI SONO IN GENERALE I RISCHI CONNESSI AL PASSAGGIO NON CONTROLLATO DA UN ORIGINATORE AL RISPETTIVO EQUIVALENTE E DA UN EQUIVALENTE A UN ALTRO EQUIVALENTE? PERCHÉ È PREFERIBILE CHE UN PAZIENTE VENGA TRATTATO SEMPRE CON LO STESSO FARMACO CON CUI HA INIZIATO LA TERAPIA?
I buoni risultati che negli anni i trapiantologi italiani hanno ottenuto derivano anche dal rigore e dall’attenzione poste alla somministrazione della terapia immunosoppressiva, cioè agli sforzi fatti per ottenere la maggiore efficacia terapeutica con il minimo degli effetti collaterali.
Oggi sappiamo che i farmaci immunosoppressori equivalenti possono essere efficaci quanto l’originatore, almeno nel breve periodo di tempo, come documentato da più studi clinici.
Il vero problema nasce dalla possibilità che, inavvertitamente, un paziente passi da un farmaco originatore ad un equivalente, e viceversa, o da un equivalente ad un altro equivalente. Questa variazione, sebbene sconsigliata da tutta la comunità scientifica, compresa l’AIFA e l’EMEA, è un rischio che diventerà possibile in futuro, quando più farmaci equivalenti risulteranno disponibili, quando il prezzo del farmaco diventerà l’unico criterio per la scelta del farmaco stesso, e quando l’attenzione per questo problema sarà minore. L’interscambio di formulazioni diverse esporrà il paziente al rischio di tossicità cronica o di rigetto cronico, eventi clinici i cui effetti possono non essere immediati ma evidenti solo nel lungo temine. Tutto questo sempre per il fatto che anche farmaci equivalenti possono portare a concentrazioni ematiche diverse.
DI FRONTE ALLA NECESSITÀ DI TUTELARE LA SICUREZZA DEL PAZIENTE, E IN PARTICOLARE DI UN PAZIENTE FRAGILE COME QUELLO TRAPIANTATO, È OPPORTUNO LIMITARE LA LIBERTÀ DI SCELTA DEL MEDICO NELLA PRESCRIZIONE DELLA TERAPIA?
La risposta è sicuramente no. Oggi i medici sono perfettamente coscienti dei costi della sanità e della necessità di contenere la spesa laddove possibile. Ricordo che la personalizzazione della terapia immunosoppressiva ha rappresentato un passaggio importante nel miglioramento dei risultati ottenuti negli ultimi anni. Al medico quindi deve essere lasciata la libertà di decidere la terapia migliore per il proprio paziente, anche se in alcuni casi questo può aumentare il costo del trattamento. Aggiungo che un trapianto di rene funzionante permette, rispetto alla dialisi, un risparmio annuo di circa 25.000 euro per paziente, quindi ha un vantaggio economico anche per l’intero SSN.
Comunque la disponibilità di immunosoppressori equivalenti non va rigettata, ma utilizzata con attenzione. Sarà compito del medico trapiantatore istruire il paziente affinché sia cosciente del nuovo problema ed eviti eventuali interscambi del proprio farmaco immunosoppressore con altri, interpellando il proprio Centro Trapianti prima di qualsiasi modifica.


Intervista a Silvio Sandrini, Responsabile Centro Trapianti Rene Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia
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IMMUNOSOPPRESSORI ED EQUIVALENZA: L’ULTIMA PAROLA ALLO SPECIALISTA

LA SOPRAVVIVENZA DEI PAZIENTI E LA SICUREZZA NEI TRAPIANTI SONO ENORMEMENTE CRESCIUTE NEL CORSO DEGLI ANNI. QUESTO SUCCESSO DIPENDE IN MISURA DETERMINANTE DA UN UTILIZZO APPROPRIATO DEI FARMACI. QUALI TERAPIE SONO INDISPENSABILI AL PAZIENTE PER VIVERE CON UN ORGANO ALTRUI E QUALI CARATTERISTICHE PRESENTANO?
Un paziente trapiantato ha bisogno di molti farmaci, ma quelli più importanti sono gli immunosoppressori. Il fatto che la sopravvivenza sia notevolmente cresciuta negli anni dipende da due fattori: il miglioramento delle tecniche chirurgiche e le terapie immunosoppressive che dagli anni Sessanta ad oggi si sono evolute moltissimo. Caratteristica di questi farmaci è la capacità di inibire la produzione dei linfociti, le cellule di difesa del nostro organismo. In questo modo, è possibile impedire, grazie a un abbassamento delle difese immunitarie, il rigetto dell’organo trapiantato. Attualmente, sono cinque gli immunosoppressori disponibili: ciclosporina e tacrolimus, sirolimus, everolimus e micofenolato.
Gli schemi terapeutici seguono protocolli precisi in base al tipo di organo trapiantato, in generale l’uso del cortisone è stato ridotto, a questo si associano almeno due immunosoppressori. Nel tempo, si tende a scalare e ridurre la terapia che resta in ogni caso un gioco di equilibri tra il giusto farmaco, il corretto dosaggio e la minore tossicità. È indispensabile a questo scopo, il monitoraggio terapeutico che misura la concentrazione plasmatica del farmaco, e la misurazione della funzione renale ed epatica. Le analisi delle concentrazioni ematiche devono essere eseguite da un laboratorio certificato sottoposto a controlli di qualità esterni.
Il futuro di queste terapie si orienterà verso la personalizzazione spinta con un approccio farmaco-genetico: prima di entrare in sala operatoria, lo specialista saprà già quale farmaco e quale dosaggio saranno più adatti per il corredo genetico del determinato paziente.

NELL’ULTIMO DECENNIO, ANCHE IN ITALIA, IL SISTEMA SANITARIO SI È ORIENTATO VERSO I FARMACI EQUIVALENTI: CI SONO PROFILI SPECIFICI PER QUANTO RIGUARDA LE TERAPIE IMMUNOSOPPRESSIVE? QUAL È LA DIFFERENZA TRA UN FARMACO “ORIGINATORE” E UNO “COPIA” E, IN PARTICOLARE, QUESTE DIFFERENZE INCIDONO NELLE TERAPIE IMMUNO-SOPPRESSIVE?
Intanto bisogna fare una precisazione sui termini giusti da usare. Farmaco equivalente fa riferimento alla vecchia dizione di farmaco generico, con due termini si parla della stessa cosa. Gli equivalenti o generici possono essere immessi in commercio quando scade il brevetto del farmaco originale. L’equivalente deve avere alcune caratteristiche: stessa qualità e quantità di principio attivo del farmaco originatore, uguale forma farmaceutica e la stessa bioequivalenza. La bioequivalenza, e quindi la “bontà del farmaco equivalente”, si basa su prove di biodisponibilità (esposizione dell’organismo al farmaco) rispetto al farmaco originatore. Nello specifico è accettata una differenza di bioequivalenza con un intervallo di confidenza compreso fra l’80% e il 125%, questo garantisce il meglio dell’efficacia. Non esistono differenze sostanziali, se il principio attivo è lo stesso il risultato sarà lo stesso. Le differenze possono insorgere tra farmaci con indice terapeutico ristretto e quelli con indice terapeutico allargato. I primi comprendono tacrolimus, everolimus e sirolimus e presentano uno stretto range di efficacia, pertanto anche piccolissime variazioni possono determinare effetti importanti, il medico ha poco margine per aggiustare la dose: per questo è facile passare da una concentrazione efficace ad una pericolosa. I farmaci con indice terapeutico allargato (ciclosporina e micofenolato) sono invece più maneggevoli. In conclusione, l’equivalente va bene, ma bisogna che non ci siano variabili (come gli eccipienti) che possano influire sulla concentrazione del principio attivo.

I CRITERI SCIENTIFICI E NORMATIVI SONO MOLTO RIGOROSI NELLA DEFINIZIONE DELLA BIOEQUIVALENZA TRA BRANDED E EQUIVALENTE: PERCHÉ IL POSITION PAPER DELLA SITO E LE NOTE EMANATE DALL’AIFA SCONSIGLIANO DI CAMBIARE LA TERAPIA DA GENERICO AD ALTRO GENERICO (SWITCH)? QUALI SONO I CONCRETI PROFILI DI RISCHIO?
L’AIFA e la SITO hanno ragione. I farmaci equivalenti o generici non sono interscambiabili, in caso contrario, gli effetti collaterali possono prevalere sull’efficacia.
Il problema più importante è che il paziente potrebbe andare incontro a frequenti cambiamenti del farmaco generico, a quel punto il clinico rischia di non avere un punto di riferimento, quel che accade nel paziente non dipende dalla terapia ma dai continui cambiamenti. È fondamentale che ogni sostituzione sia prescritta dal medico specialista e solo in un contesto in cui fosse garantita la continuità terapeutica sarebbe auspicabile che s’iniziasse la terapia “de novo” con il generico, una volta definita la sua bioequivalenza.
È inoltre importante informare e formare il paziente all’uso dei farmaci equivalenti ed evitare quei prodotti che non rispettano le direttive dell’EMEA. In ogni caso l’ultima parola deve spettare al Medico Specialista.

Intervista a Massimo Baraldo, Professore Associato di Farmacologia, Università degli Studi di Udine

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LA REGOLA DELL’EQUIVALENZA E L’ECCEZIONE DEI FARMACI PER I TRAPIANTATI

L’AVVENTO DEI FARMACI EQUIVALENTI È CONSIDERATO UN FATTORE DI GRANDE EQUITÀ PERCHÉ RIDUCE I COSTI GENERALI DELLA SPESA SANITARIA E LIBERA RISORSE DA DESTINARE AD ALTRE VOCI: QUALI OBIEZIONI AVANZANO I PAZIENTI TRAPIANTATI RISPETTO ALL’IMPIEGO DEGLI EQUIVALENTI NELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA?
Non vi è nulla da obiettare rispetto ad un generale giudizio sulla utilità, sia in termini economici che di efficacia terapeutica, riguardo i farmaci equivalenti. Ma una regola generale ha, come sempre, delle eccezioni che devono essere opportunamente considerate e regolamentate.
Alcuni farmaci immunosoppressori presentano oggettivi rischi clinici nella sostituibilità con il corrispondente prodotto equivalente. Sono quelli (ad esempio, ciclosporina e tacrolimus), caratterizzati da “basso indice terapeutico”. In altre parole sono principi attivi che richiedono posologie personalizzate in quanto le differenze tra dosi efficaci e quelle associate a tossicità sono minime. Caratteristiche simili sono presenti anche in altri tipi di principi attivi (ad esempio, antiaritmici ed antiepilettici). E’ ovvio che anche per questi farmaci vanno usate le medesime precauzioni. Allo stesso modo vanno differenziati i rischi di sostituibilità per altri immunosoppressori che non hanno le stesse caratteristiche e chiedono diversa attenzione. Specificamente, per il trapiantato i rischi di sostituibilità legati alle caratteristiche farmacologiche del principio attivo sono aggravati dalle gravi ricadute cliniche in caso di dosaggio inappropriato. Rischiare di perdere un trapianto ha ricadute umane, sociali e di spesa sanitaria ben più gravi di un relativamente modesto risparmio nella terapia farmacologica.

PERCHÉ LA CONTINUITÀ TERAPEUTICA È UN DIRITTO IRRINUNCIABILE PER I PAZIENTI TRAPIANTATI?
Più che di continuità terapeutica si dovrebbe parlare di sicurezza terapeutica che nel caso dei farmaci immunosoppressori richiede grandi cautele nella sostituibilità, come estrema attenzione nel passaggio a prodotti farmaceutici equivalenti di differenti marche. In linea generale il prodotto non andrebbe mai cambiato, tantomeno in assenza di indicazione e di stretta sorveglianza del medico curante che segue il trapiantato.

SUL CAMBIO DI TERAPIA L’AIFA HA GIÀ EMANATO UN DOCUMENTO RIGOROSO: LO RITENETE ADEGUATO DAL PUNTO DI VISTA DELLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEI PAZIENTI?
Se ci si riferisce alle raccomandazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) del giugno-luglio 2011 riguardo la sostituibilità del tacrolimus, si tratta appunto di “raccomandazioni” e come tali non sono imperative ma opzionali.
Quindi, pur opportune, non modificano le leggi vigenti e non obbligano le Regioni, ad esempio, a farsi carico della differenza di prezzo tra brand e quota rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale. Ne sono derivate situazioni regionali differenziate che creano sconcerto e insicurezza nei trapiantati e nei medici che li curano. Soprattutto generano inaccettabili differenze territoriali di tutela sanitaria, in evidente contrasto con i principi di equità e uguaglianza, diritti sanciti dalla Costituzione.



Intervista a Anna Maria Bernasconi, Associazione Nazionale Emodializzati - Dialisi e Trapianto (ANED)

Farmaci equivalenti: impariamo a usarli meglio
QUALI COSTI COMPORTA LA GESTIONE DI UN PAZIENTE TRAPIANTATO? CHE INCIDENZA HANNO I COSTI FARMACEUTICI NELLA SPESA COMPLESSIVA?
A seconda del tipo di intervento, un trapianto può avere un costo che varia dai 90.000 ai 120.000 euro al primo anno; a questo vanno sommati i costi sostenuti nel periodo che precede l’operazione, che si aggirano attorno ai 6.000 euro e che comprendono, ad esempio, l’individuazione del ricevente, la gestione del pre-trapianto etc., e i circa 6.000-12.000 euro per il follow up del post trapianto, monitoraggio annuale che dura per tutta la vita del paziente.
Il trapianto d’organo è un evento importante e nell’insieme costoso, tuttavia la spesa per i farmaci incide per non più del 20-30% del totale, una cifra rilevante ma che non impatta quanto quella dell’ospedalizzazione.

SOTTO IL PROFILO FARMACOECONOMICO IL RISPARMIO OTTENUTO ATTRAVERSO L’IMPIEGO DI UN FARMACO EQUIVALENTE IN LUOGO DEL FARMACO ORIGINATORE GIUSTIFICA I RISCHI CONNESSI ALLA INTERRUZIONE DELLA CONTINUITÀ TERAPEUTICA E ALL’EVENTUALE FALLIMENTO?
I farmaci a brevetto scaduto sono una grande opportunità perché permettono di ridurre il costo della spesa farmaceutica per paziente. L’utilizzo dei farmaci generici nel nostro Paese è al penultimo posto in Europa, seguito solo dalla Grecia. Nel mercato a volumi, all’estero i farmaci equivalenti rappresentano l’80% mentre da noi i farmaci equivalenti si attestano attorno al 15%. Il punto è proprio questo: gli equivalenti vanno usati ma dobbiamo imparare ad utilizzarli al meglio proprio per poter offrire a tutti i trapiantati i farmaci più innovativi.

COSA VUOLE DIRE UTILIZZARLI AL MEGLIO NELL’AREA DEI TRAPIANTI?
Al momento c’è ancora poca ricerca in questo ambito per valutare gli effetti delle terapie con farmaci equivalenti: l’unico dato certo è che se il paziente inizia col brand oppure con l’equivalente e prosegue con la stessa terapia non ci sono inconvenienti. I problemi si presentano quando il paziente passa di continuo da un equivalente all’altro. Negli Stati Uniti i trapiantologi possono consultare l’Orange Book, un registro nel quale le aziende riportano il dato di bioequivalenza rispetto al farmaco originatore, una specie di classifica dei migliori farmaci equivalenti. Bisognerebbe fare la stessa cosa in Italia per garantire al paziente una maggiore trasparenza nella scelta degli equivalenti da parte di medico e farmacista.

LA COMMERCIALIZZAZIONE IN ITALIA DI FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI EQUIVALENTI METTE I TRAPIANTOLOGI – COSÌ COME DA TEMPO AVVIENE PER ALTRE CATEGORIE DI MEDICI – NELLE CONDIZIONI DI DOVER DECIDERE LE TERAPIE ANCHE SULLA BASE DEI RISPARMI PER IL SSN, QUALI SCENARI DOVREMO ASPETTARCI PER IL FUTURO? DOVE PENDERÀ L’AGO DELLA BILANCIA PER PRENDERE LE MIGLIORI DECISIONI?
In tempi di ciclo economico negativo e di risorse limitate il medico si trova ad affrontare scelte a dir poco gravose, nella sua penna prescrittiva ormai deve inserire oltre al migliore farmaco da prescrivere ai suoi pazienti anche la corretta gestione delle risorse pubbliche. Il medico deve esser consapevole oggi più che in passato che dare troppo ad un paziente può significare non dare agli altri, dunque la prescrizione terapeutica non può prescindere dal rapporto costo/efficacia del farmaco. Tutto questo pone ovviamente grandi problemi anche di carattere etico. Le scelte si complicano ma non possiamo, nell’attuale contesto economico, prescindere dall’utilizzare i farmaci equivalenti; questo però deve avvenire attraverso la piena consapevolezza da parte di tutti gli attori del Sistema Sanitario delle potenzialità del farmaco equivalente e tramite validati strumenti di monitoraggio e controllo da parte dell’autorità pubblica.

Intervista a Giorgio L. Colombo, Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Farmacia e S.A.V.E. - Studi Analisi Valutazioni Economiche Milano




Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa